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"I
miei Balcani in musica" - Intervista
di Claudio
Fabretti
"La mia musica? E'
una miscela, nasce dalla frontiera balcanica, una terra
misteriosa dove si incrociano tre culture: ortodossa,
cattolica e musulmana". Parla un italiano disinvolto
Goran Bregovic (1950, Sarajevo), che si presenta
all'appuntamento senza formalita': costume e asciugamano
dopo un bagno in piscina, occhiali da sole. Ha l'aria di
un tipo tranquillo, sicuro di se'. Le sue composizioni,
mix di folk balcanico e raffinata tecnologia, hanno
contagiato l'Europa. Anche grazie al fortunato sodalizio
con Emir
Kusturica, suo concittadino di Sarajevo e regista di
capolavori come "Il tempo dei gitani" e
"Underground". Bregovic ha firmato le colonne
sonore di molti dei suoi film, compreso Arizona Dream,
il "sogno americano" del regista bosniaco, con
star come Jerry Lewis e Johnny Depp, e una canzone -
"Tv Screen" - interpretata
dall'"iguana" Iggy
Pop, ex-Stooges.
"Era appena scoppiata la guerra nell'ex-Jugoslavia -
ricorda Bergovic -. Io ed Emir siamo fuggiti in America a
girare il film. Poi ci siamo ritrovati a Parigi, insieme a
tanti amici di Sarajevo". Gia', gli amici: gli
intellettuali e gli artisti di quella Bosnia colta e
pacifica spazzata via dalle granate; i fedelissimi dei
club dove Kusturica proiettava i suoi primi film e suonava
il basso in un gruppo punk. Un repertorio simile a quello
del giovane Goran, rockstar con una band sua gia' all'eta'
di sedici anni, nonche' studente di filosofia.
Sarajevo rock
"Il rock era la sola possibilita' di esprimere il
nostro malcontento senza rischiare di finire in galera, o
quasi...". Ma chiariamo una cosa: io ed Emir non
abbiamo mai suonato insieme; lui era un dilettante, io un
musicista, precisa con tono neanche troppo scherzosamente
strafottente. Evidentemente tra i due qualcosa si e'
guastato.Tanto che nell'ultimo film di Kusturica
"Gatto Nero Gatto Bianco" non ci sono piu' le
musiche di Bregovic, che nel frattempo ha inciso la
colonna sonora di Train de Vie, il piccolo gioiello
del regista franco-romeno Radu Milhaileanu. Alla base
della "lite" - pare - il risentimento di
Kusturica per il tipo di utilizzazione delle musiche dei
suoi film nei concerti di Bregovic. Ma su questo punto il
musicista bosniaco preferisce glissare: "Io ed Emir
abbiamo preso strade diverse, tutto qua".
Ma torniamo alla Sarajevo underground pre-bellica. E' qui
che il primo Bregovic infiamma i giovani con gruppi rock
come Bestie, Kodeks, Jutro e soprattutto White Button (Bijelo
Dugme), la formazione che lo accompagnera' per quindici.
Poi, stanco del ruolo di idolo dei teen-ager, decide di
cambiare rotta. Il tempo dei gitani, memorabile
affresco del popolo rom in bilico tra realismo e sfrenata
fantasia, segna l'inizio della collaborazione con
Kusturica. Ma presto sulla Jugoslavia orfana di Tito
cominceranno a soffiare venti di guerra. E per l'arte non
ci sara' piu' spazio.
Goran racconta la storia con l'apparente distacco di chi
ha rotto con le proprie radici. Ma c'e' una vena di
nostalgia nella sua voce quando rievoca la Sarajevo di
quei giorni, cosi' lontana dalla citta'-fantasma del
dopo-guerra. "Non ci abito piu'. Non e'
"pratica", manca spesso l'elettricita' e non
posso usare i miei computer, mancano le condizioni minime
per lavorare. Ora vivo tra Parigi e Belgrado, ma sono
quasi sempre in tournée".
Guerra e musica
Di madre serba e padre croato, come tanti cittadini
bosniaci, Bregovic e' quasi un simbolo della Bosnia
multietnica. Eppure anche lui, oggi, e' rassegnato:
"E' molto romantico pensare che noi artisti possiamo
cambiare le cose. Purtroppo, pero', la storia della
Jugoslavia la fanno i soldati, non i musicisti. Il
problema e' la mancanza di cultura democratica. Durante il
comunismo era imposta dall'alto, dopo non si e'
sviluppata. In Francia la cosa peggiore immaginabile e'
che la destra moderata si allei con i fascisti; da noi i
politici sono pronti a far uccidere centomila persone pur
di imporre le loro idee". Piu' facile, invece,
cambiare la storia della musica. Magari lanciando uno
stile nuovo e facendo conoscere una cultura che molti -
come ammette con un sorriso - "ricordano solo per Il
ponte sulla Drina di Ivo Andric, premio Nobel per la
Letteratura".
E allora spazio alla musica: sonorita' fragorose,
selvagge, un po' alticce, alternate ad altre solenni,
toccanti, come il tema del "Tempo dei gitani", Ederlezi,
che da' anche il titolo al cd-antologia delle colonne
sonore di Bregovic. E' una formula che fonde Bartok e il
jazz, tanghi e ritmi folk slavi, suggestioni turche e
vocalita' bulgara, polifonie sacre ortodosse e moderni
battiti pop. Si puo' definire "world music"?
Forse. Di sicuro, per questo gitano cosmopolita, il
concetto di musica "etnico-nazionale",
forzatamente in voga oggi nei paesi dell'ex-Jugoslavia,
suona ridicolo: E' assurdo cercare differenze in una
lingua, il serbo-croato, che e' sempre stata una sola, o
perfino nella musica. I nostri popoli sno sempre stati
molto vicini per cultura e tradizioni. Ma oggi, da piu'
parti, si cerca di riscrivere la Storia".
Lo spettacolo dei suoi concerti non nasce da effetti
speciali, ma dai musicisti presenti sul palco. Da un lato
l'austera Orchestra di Belgrado, in bianco e nero;
dall'altro le Voci Bulgare, quattro vocalist straordinarie
in variopinti costumi folkloristici; in mezzo Bregovic,
abiti bianchi e chitarra elettrica in mano in braccio, e
il massiccio direttore-percussionista, Ognjen Radivojevic;
dietro di loro la "Wedding & Funerals Band",
fanfara di ottoni che aggiorna la tradzione dei complessi
ottomani e rom. "Loro suonano davvero ai matrimoni e
ai funerali. E' la tradizione ortodossa: dopo il rito
funebre si mangia, si beve e per un po' il dolore lascia
spazio alla musica".
La Jugoslavia in
cantina
Impossibile, in effetti, resistere alla malia di questo
ubriacante cocktail balcanico. Cosi' ogni volta, anche in
sedi austere, come l'Accademia di Santa Cecilia di Roma
dove Bregovic si e' esibito piu' volte, si rinnova il
rituale: il pubblico abbandona i seggiolini e si lascia
andare a danze vorticose sotto il palco. Tutti insieme,
giovani, anziani, bambini, irretiti dai ritmi di "Kalasnjikov"
e "Mesecina", i pezzi trainanti della colonna
sonora di Underground. "Propaganda serba"
era stato bollato il film dai suoi detrattori. "Ci
vogliono occhiali speciali per vederla - ribatte Bregovic
- e poi non credo proprio che i serbi vorrebbero essere
ritratti in quel modo. E' solo una storia d'amore tra tre
persone, durante un pezzo di storia del nostro
paese". Ma in realta' nel film - Palma d'oro a Cannes
- c'era qualcosa di piu': "Underground", la
cantina dove i protagonisti venivano tenuti all'oscuro
delle vicende reali, era una metafora tragicomica del
dramma jugoslavo, del regime e dei terribili segreti della
guerra. Dall'inizio del conflitto in Bosnia, Bregovic ha
scritto molte colonne sonore, tra cui anche quella della Regina
Margot di Patrice Chereau. Ora, pero', dice di non
avere piu' bisogno di "fare soldi". Lo ammette
senza falsi pudori: "In Jugoslavia, per ogni disco,
dovevi pagare il novanta per cento di tasse. Ti passava la
voglia di comporre. Solo da quando sono andato all'estero
ho cominciato a lavorare sul serio".
Se in paesi come Francia e Grecia e' da tempo una star, in
Italia, e' stato scoperto piu' tardi. "A diciotto
anni - ricorda - gia' suonavo a Ischia e Capri, ma la
gente era meno curiosa. Oggi c'e' piu' interesse per
queste sonorita'. Certo, quando ho saputo di aver venduto
centomila copie in Francia mi sono chiesto: 'Ma chi sono
questi, perche' comprano i miei dischi?'". Oggi anche
in Italia Bregovic e' diventato una star. E sono sembrate
persino eccessive alcune sue performance, come il duetto
in tv con Adriano Celentano in "Ventiquattromila
baci", classico del "Molleggiato" e -
incredibile a dirsi - canzone italiana piu' popolare in
Jugoslavia (vedere per credere "Ti ricordi di Dolly
Bell" di Emir
Kusturica). E Bregovic, che di recente ha inciso un
nuovo disco insieme alla cantante polacca Kayah
(sconosciuta in Occidente, ma capace di vendere milioni di
dischi nel suo Paese) e' salito addirittura sul palco del
Teatro Ariston di Sanremo durante una edizione del
Festival, prendendo parte anche alla "giuria di
qualita'".
Tales
And Songs From Weddings And Funerals del 2002 riporta
Bregovic alle sue caratteristiche sonorità. E' un disco
che, come scrive il critico Riccardo Bertoncelli,
"salta in alto nei cieli della fantasia e del gioco
ma sa sporcarsi anche le mani con le pene della vita; che
diverte e commuove, che sogna e si strugge in un mutevole
paesaggio sonoro di fanfare gitane e trattamenti
elettronici, di fiati dolenti e bicchieri usati come
percussioni, e una sveglia come metronomo". Otto sono
le canzoni, sette i racconti, strettamente legati tra
humour e malinconia. Tra i brani anche l'esilarante
"Polizia molto arabbiata" (con tanto di errore
grammaticale), che vuole denunciare le vessazioni degli
immigrati slavi in Italia. Ottimo l'apporto alle voci di
Goran Demirovic e di Vaska Jankovska, ma a dare colore e
anima al disco è la solita, straripante "orchestra
dei matrimoni e dei funerali".
Ma nonostante i buoni affari legati alla sua inarrestabile
popolarita', Bregovic annuncia di voler lasciare spazio
alla sperimentazione: "Ora non mi interessa la
carriera, ma solo la musica. Mi diverto a provare di
tutto, dalle canzoni per bambini alle sinfonie piu'
complesse". Un punto, per il musicista bosniaco,
resta fermo: "E' sempre meglio una banda gitana,
magari stonata, di una 'Madame Butterfly' imbalsamata
dalla routine". Non si stanchera' mai di esplorare le
frontiere della musica Goran Bregovic. Ma nel cuore gli
restera' sempre lo spirito libero e selvaggio della
frontiera balcanica.
"My
Balkans into music" - Interview
He can merge
Balkan folk and electronics, frantic rhythm and
sacred themes. He got fame in Europe with the
soundtracks of Emir
Kusturica's films, since "The Time of
the Gypsies" to "Underground".
But he begun his career as a rocker: "It
was the only way to protest against the regime
without going to jail...". Goran Bregovic
tells about his debut in the clubs of Sarajevo
and his escape to France. And he explains why he
can't come back to his homeland Bosnia
by
Claudio Fabretti
"My music?
It's a mixture born from the Balkan frontier. A
mysterious land where three cultures cross each
other: orthodox, catholic and muslim".
Goran Bregovic (1950, Sarajevo) can speak a
fluent Italian, and he introduces himself
without any formality, wearing a swimsuit, a
towel and sunglasses coming out from his hotel
swimming pool, after a bath. He seems a quiet
guy, self confident. His compositions, a mix of
Balkan folk and refined technology, conqueered
Europe thanks also to the lucky partnership with
his Sarajevo's fellow Emir
Kusturica, the film director of masterpieces
like The Time of the Gypsies and Underground.
Bregovic composed the soundtracks of most of his
films, included Arizona Dream, the
"American dream" of the Bosnian
director, starring Jerry Lewis and Johnny Depp,
and in particular the theme - "Tv Screen"
- performed by "the Iguana" Iggy
Pop (the
Stooges).
"The war in the former-Yugoslavia just
exploded" Bregovic remembers. "Emir
and I escaped to America to take the film. Then
we met again in Paris, with many friends from
Sarajevo". Yes, friends: intellectuals and
artists of the pacific and cultured Bosnia,
blown away by the grenades. The old comrades of
the clubs where Kusturica showed his early films
and played the bass in a punk band. His style
was similar to the young Goran's one, who was a
rockstar with his own band when he was a sixteen
student of philosophy.
Sarajevo
rock
"Rock was the only chance to express our
dissatisfaction without being in danger to go to
jail. But one thing must be clear: Emir and I
never played together; he was an amateur, I was
a musician", Bregovic points out. Maybe
something went wrong with the two former friends,
so that in the last Kusturica's film,
"Black Cat White Cat", there was
Bregovic's music anymore, while the composer
signed the soundtrack of "Train de
Vie", the little jewel of the
french-roumanian director Radu Milhaileanu. The
argument begun when Kusturica felt disappointed
for the use of the music of his films in
Bregovic concerts. But the Bosnian musician
prefers to skirt the issue: "Emir and I
went on different roads. That's all".
But let's come back to the Sarajevo's
underground before the war. It's here that the
early Bregovic inflamed the town's youth with
rock bands like Beasts, Kodeks, Jutro and, above
all, White Button (Bijelo Dugme), his group for
fifteen years. Then, he was tired with his role
of teen-agers idol, so he decided to change. The
Time of the Gypsies, memorable portrait of
the rom people in balance between realism and
unchained fantasy, marked the beginning of his
collaboration with Kusturica. But quite soon the
wind of war begun to flow on the Tito-orphaned
Yugoslavia, and there was no more place for its'
artists.
Goran tells about the happenings with the
indifference of someone who broke off his
roots. But you can find a vein of nostalgia in
his voice, when he recalls the old days in
Sarajevo, a very different city from the
ghost-town of the post-war times. "I won't
come back there. It isn't 'practical', the
electricity often goes off and I cannot use my
computers, there aren't the basic conditions to
work. Now I live between Paris and Belgrade, but
I'm touring most of the time".
War and
music
Serbian mothered and Croatian fathered, like
many people from Bosnia, Bregovic is a symbol of
the multiethnic Yugoslavia. Nevertheless, he
seems to be resigned: "Thinking that the
artists can make things change is quite romantic.
Unfortunately, they are the soldiers who make
the Yugoslavia history, not the musicians. The
problem is the lack of democratic culture.
During the Communism everything was imposed by
the regime, after, there wasn't a real
alternative. In France the worse imaginable
thing is that the moderate right can ally with
the Fascists; in our country, the politicians
are ready to let one hundred thousand persons
die just to impose their ideas".
So, changing the music history can be much
easier. Even if you launch a new style and
introduce a culture that many people - Bregovic
admits smiling - "only remember for 'the
Bridge on the Drina' of Ivo Andric, Literature
Nobel Prize".
So let's give space to the music: raw and
roaring sounds, a bit "alcoholic",
mixed with solemn and touching tunes, as in the
main theme of "The Time of the Gypsies",
Ederlezi, that is the title track of a
cd-anthology of Bregovic most famous soundtracks.
It's a formula that melts Bartok and jazz,
tango and Slavic folk, turkish suggestions and
Bulgarian vocals, orthodox sacred pholiphony and
modern pop beats. Can it be considered
"World Music"? Maybe. Surely, for this
43 cosmopolitan gypsy, the concept of the
ethnic-national music, imposed today in the
countries of the former-Yugoslavia, seems
ridicule: "Looking for differences in one
language, the Serb-Croatian, is absurd. And so
it is in the music. Our people have always been
good neighbours, they have similar cultures and
traditions. But today, someone is trying to
rewrite the History".
The power in his concerts isn't given by special
effects, but by the musicians on the stage. On a
side the austere Orchestra of Belgrade, in black
and white; on the other side the Bulgarian
Voices, four extraordinary vocalists wearing
their folk multicoloured dresses; in the middle
stands Bregovic, dressed in white with an
electric guitar in his hand, and the massive
director-percussionist, Ognjen Radivojevic;
behind them it is the "Wedding &
Funerals Band", a brass-band that updates
the tradition of the Ottoman and Rom groups.
"They really play in the weddings and in
the funerals, as in the orthodox tradition.
After the funeral ritual you've eaten, you've
drunk so, for a while, your pain is estranged by
the music".
Yugoslavia
underground
You really can't resist to the charm of this
Balkan inebriating cocktail. So, every time, the
same ritual recurrs, also in austere theatres
like the Academy of Santa Cecilia in Rome, where
Bregovic played two times: people leave their
seats and let themselves go to wild dances under
the stage. All together: young and old people,
children, blown away by the rhythm of "Kalasnjikov"
and "Mesecina", the main tunes of Underground.
Some critics considered that film "Serbian
propaganda". "They must have been
wearing some special glasses to see it",
Bregovic replies. "And I don't believe the
Serbs liked to be described in that way. It's
only a love story of three people during a
period of our history". But there was
something more in that Cannes Golden prize
winner film. The cellar, where the characters
lived ignoring the reality, was a tragi-comic
metaphor of the Yugoslavian drama, of the
regime, and of the terrible secrets of the wars.
From the beginning of the Bosnian conflict,
Bregovic wrote a lot of soundtracks among them
the Reine Margot of Patrice Chereau. But
now, he says he doesn't need to make money
anymore. He says it shameless: "In
Yugoslavia, you had to pay 90 per cent of your
earning in taxes, for each record you published.
So you lost your desire to write music. But
since I went abroad, I started working seriously".
In France and Greece he is an acclaimed star,
here, in Italy he was discovered later. "When
I was 18", he remembers, "I played in
Ischia and Capri, but people were less curious.
Today, the interest for these sounds is growing
higher and higher. Surely, when I knew I have
sold one hundred thousand of copies of my
records in France I wondered: who are those
fools and why they buy my records?".
Now in Italy too he has become a star. And he
seemed quite excessive in some Italian
performances such as in the Celentano tv show
where he and the Italian singer sang together
"Ventiquattromila baci", a classic hit
of Celentano and, that's incredible, the most
popular Italian song in Yugoslavia (as you can
see in the Kusturica "Do you remember Dolly
Bell?").
Bregovic, who recently published a new album
with the Polish singer Kayah (unknown in western
Europe but very popular in her own country,
where she sold millions of records) was on the
stage of the Ariston theatre during the Italian
Sanremo festival, where he also was a member of
the quality jury.
Tales
And Songs From Weddings And Funerals (2002)
was a return to his typical sound: eight songs
and seven tales between humour and melancholy.
One of the tracks is the funny "Polizia
molto arabbiata" (with a mistake in Italian...),
about the relationship between Yugoslavian
immigrants and policemen. Excellent the
performance of Goran Demirovic and Vaska
Jankovska on vocals, while the usual "funeral
and weddings orchestra" enriches all the
music.
Though
his popularity as a soundtracks composer made of
him a rich man he decided to reduce his cinema's
collaborations in order to have more time to
make experiments: "Now I don't care about
my career, I only care about music. I enjoy
myself experimenting everything, from childish
songs to the most complex symphonies". But
the Bosnian musician is sure of a thing: "It's
much better a gypsy brass band, even if out of
tune, than a 'Madame Butterfly' imprisoned by
the routine". So Goran Bregovic will go on
exploring the frontiers of music. But he will
keep in his heart the free and wild spirit of
the Balkan fronteer.
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